sabato 16 gennaio 2010

Perchè in Italia si brevetta poco

In Cina lo studio della proprietà intellettuale è diventato d'obbligo a scuola. Tra pochi anni, dice Thierry Seuer, vice presidente IP della ditta francese Air Liquide, ognuno in Cina saprà quando e come brevettare, ottimizzando le spese di brevetto e massimizzando così la rendita dovuta al brevetto. Ma conoscere la proprietà intellettuale non vuol dire solo questo: chi sa leggere un brevetto può capire l'area protetta dalla concorrenza. Di conseguenza saprà muoversi senza infrangere i diritti altrui. Gli effetti di questa politica si vedranno tra qualche anno, quando le imprese del Regno di Mezzo avranno a loro disposizione ingegneri e impiegati ad ogni livello, qualificati in materia di brevetto.
In generale gli americani, i giapponesi e adesso anche i cinesi capiscono l'importanza della protezione intellettuale e hanno promosso una politica conseguente. In Italia invece la gente non ha capito il ruolo che un brevetto gioca nello sviluppare prodotti nuovi e nel restare competitivi. I politici italiani vedono nel brevetto sono un strumento tecnico e perciò non fanno nulla per promuoverlo né si sentono coinvolti nel farlo. Il vero motivo perché in Italia non si brevetta dunque non è la mancanza di inventività, ma la completa mancanza d'informazioni riguardo questo tema.
Sembra però che non siamo i soli ad essere in ritardo. In generale in Europa non si promuove la diffusione delle conoscenze sulla proprietà intellettuale. Gli esperti di IPR, dice Brian McGinley, capo dell'ufficio presidenziale dell' Ufficio Europeo Brevetti, sono una casta a sé stante. Usano un linguaggio incomprensibile alle masse e vivono isolati dall'Europa produttiva.




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